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venerdì 14 settembre 2012

Si riparte!

Cari amici
dopo un periodo relativamente lungo di assenza siamo pronti per ripartire!
Nel corso di questa lunga riflessione ho deciso di integrare la passione per questo blog con i valori che hanno da sempre guidato ed ispirato la mia occupazione principale, ossia quella di manager finanziario. Sono pronto a dimostrare che operare nel mondo finanziario con criteri di responsabilità, sostenibilità ed etica è fonte di enormi benefici, sia individuali che collettivi.
Solo se cominceremo ad avere rispetto per l'altro in quanto individuo potremo vivere il nostro lavoro e la nostra vita privata con la certezza che gli scandali avvenuti in quasi tutti i settori dell'economia e della finanza, che hanno ridotto il mondo intero nelle condizioni che tutti conosciamo, non potranno più ripetersi.
Spero che tanti di voi vorranno condividere le proprie opinioni e cominciare un dialogo costruttivo che possa - perchè no? - portare all'elaborazione di proposte da sottoporre all'attenzione dell'opinione pubblica.

giovedì 23 febbraio 2012

Messaggio del Papa per la Quaresima 2012

Messaggio per la Quaresima 2012

Pubblichiamo il testo integrale del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012, sul tema: Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»(Eb10,24).

Fratelli e sorelle,
la Quaresima ci offre ancora una volta l'opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l'aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. E' un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale.
Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). E’ una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l'accesso a Dio. Il frutto dell'accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nell'attenzione costante ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l'attenzione all'altro, la reciprocità e la santità personale.

1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello.
Il primo elemento è l'invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è katanoein,che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nell'occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1), l'apostolo e sommo sacerdote della nostra fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell'altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell'altro e a tutto il suo bene. Il grande comandamento dell'amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell'altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66).
L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell'altro, desiderando che anch'egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui. L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi di questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo. In quella del buon Samaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti all’uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest’uomo sazio di beni non si avvede della condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare attenzione», del guardare con amore e compassione. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l’umiltà di cuore e l'esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interidi risveglio interiore alla compassione e all'empatia: «Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr 29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui. L'incontro con l'altro e l'aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine.
Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed e Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein - è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.

2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.
Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l'utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere parte della vita della comunità cristiana.
I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l'altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione:la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre»(1 Cor 12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione l'elemosina - tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno - si radica in questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all'unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell'altro l'azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16).
3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: camminare insieme nella santità.
Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13). L'attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell'amore e delle buone opere.
Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s). Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l'invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).
Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria e di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

venerdì 27 gennaio 2012

La Pace del Cuore - 5

"La pace interiore, di cui trattiamo, dipende fondamentalmente dall'atteggiamento nei confronti di Dio. [...] Notiamo però una cosa: quando qualcuno è vicino a Dio, l'ama e desidera servirlo, sarà in grado di ricevere il dono della pace. [...] La pace di un uomo non può essere profonda e duratura, se egli è lontano da Dio, se la sua più profonda volontà non è interamente orientata verso di Lui:"Tu ci hai fatti per te, Signore, ed il nostro cuore è inquieto se non riposa in te" (Sant'Agostino). Condizione necessaria alla pace interiore è dunque quanto potremmo definire la buona volontà. [...] E' quella stabile e costante disposizione d'animo dell'uomo deciso ad amare Dio più di ogni altra cosa, sinceramente desideroso di anteporre in tutte le circostanze la volontà di Dio alla sua. potrà succedere - accadrà sicuramente - che nella vita di tutti i giorni il suo comportamento non sia in perfetta armonia con questo proponimento. Molte imperfezioni si sommeranno nella realizzazione di questo desiderio, ma egli ne soffrirà, ne domanderà perdono al Signore e cercherà di correggersi. Dopo gli smarrimenti eventuali, si sforzerà di rientrare in questo sì a Dio in tutto, senza eccezione. [...] Questa buona volontà, questa abituale determinazione di dire sempre si a Dio, nelle grandi come nelle piccole cose, è una conditio sine qua non della pace interiore. Fin quando non avremo acquisito questa determinazione, continueranno a dimorare in noi una certa inquietudine ed una certa tristezza: l'inquietudine di non amare Dio tanto quanto lui ci invita ad amarlo, la tristezza di non avergli ancora donato tutto. [...]  In effetti, cosa ci domanda Dio, se non questa buona volontà? Cosa potrebbe pretendere di più, lui che è un Padre buono e compassionevole, quando vede che il suo figlio desidera amarlo sopra ogni cosa, soffre di non amarlo a sufficienza ed è disposto a staccarsi da tutto ciò che gli sarebbe contrario? Non sta forse a Dio stesso intervenire per portare a buon fine questi desideri che l'uomo, lasciato alle sue sole capacità, non è in grado di realizzare?"
Tratto dal libro "La pace del cuore" di Jacques Philippe

martedì 24 gennaio 2012

La Pace del Cuore - 4

"[...] La pace interiore non è solamente una condizione della lotta spirituale, essa ne è - molto spesso - il fine. E' molto frequente che la lotta spirituale consista esattamente in questo: difendere la pace interiore dal nemico che si sforza di rapircela. [...] E' errata la convinzione che, per riportare la vittoria nella lotta spirituale, occorra vincere tutti i nostri difetti, non soccombere mai alla tentazione, non avere più debolezze e mancanze. Su questo terreno saremmo immancabilmente sconfitti! [...] al contrario, la vera lotta spirituale, più che nel perseguire una invincibilità ed una infallibilità assolutamente fuori dalla nostra portata, consiste principalmente nell'imparare a non turbarci eccessivamente quando ci capita di essere miseri e a saper approfittare delle nostre cadute per rialzarci più in alto. Cosa sempre possibile, a condizione di non perderci d'animo e di conservare la calma.[...] Uno degli aspetti dominanti della lotta spirituale è la lotta sul piano dei pensieri. Spesso consiste nell'opporre a pensieri che provengono dal nostro spirito, dalla mentalità che ci circonda, oppure dal nemico e che ci turbano, ci spaventano o ci scoraggiano, dei pensieri che possano confortarci e ristabilire in noi la pace. [...] Una delle affermazioni che deve esserci sempre presente è che tutte le ragioni che ci fanno perdere la pace sono sempre delle cattive ragioni. Questa convinzione non può certo basarsi su considerazioni umane, ma è una certezza di fede, fondata sulla parola di Dio. Non poggia sulle ragioni del mondo; Gesù ce lo ha detto chiaramente:"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore" (Gv 14,27). Se cerchiamo la pace coma la dà il mondo, cioè se ci aspettiamo una pace secondo i criteri di vita che fanno dipendere lo stato interiore dal buon andamento delle cose esteriori, dall'assenza di contraddizioni, dalla realizzazione di tutti i nostri desideri ecc., sicuramente non saremo mai in pace, oppure la nostra pace sarà estremamente fragile e di breve durata. Per noi credenti, il motivo essenziale per il quale possiamo rimanere sempre nella pace non viene dal mondo:"Il mio regno non è di questo mondo", dice Gesù (Gv 18,36); viene dalla fiducia nella promessa del Signore. Quando Egli afferma di donarci la pace, di lasciarci la pace, questa è parola divina ed ha la stessa forza creatrice di quella che ha fatto sorgere dal nulla il cielo e la terra; lo stesso potere di quella che ha calmato la tempesta o di quella che ha guarito i malati e resuscitato i morti. Poichè Gesù dice - per ben due volte! - che ci dà la Sua pace, noi crediamo di averla in possesso e che essa non venga mai ritirata:"I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29). Siamo noi che non sempre li sappiamo accogliere e conservare, perchè molto spesso manchiamo di fede. "Vi ho detto questo perchè abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33). In Gesù possiamo sempre dimorare nella pace, perchè Egli ha vinto il mondo, ha vinto ogni male e peccato, perchè è risuscitato dai morti. [...] Partendo da questo incrollabile fondamento della fede, esamineremo più avanti alcune situazioni nelle quali ci capita sovente di perdere più o meno la pace del cuore, cercando di superarle alla luce dell'insegnamento del Vangelo. Prima però vorremmo far capire quale è, da parte nostra, la condizione fondamentale per essere in grado di ricevere la pace promessa da Gesù."
Tratto dal libro "La pace del cuore" di Jacques Philippe

sabato 21 gennaio 2012

La pace del cuore - 3

E continuiamo con la nostra catechesi tratta dal libro di Jacques Philippe "La pace del cuore". Al termine del cammino se provate a stampare le pagine del blog e a rilegarle in modo casalingo, avrete modo di possedere delle vere e proprie "perle di spiritualità".

"Questa ricerca della pace interiore potrebbe sembrare ad alcuni molto egoistica: perchè porsi questo come obiettivo principale, mentre nel mondo vi sono tanta sofferenza e tanta miseria? A tale osservazione dobbiamo anzitutto rispondere che la pace in questione è quella del Vangelo. Essa non ha nulla a che vedere con una sorta d'impassibilità, di morte della sensibilità, di fredda indifferenza chiusa in se stessa, come potrebbero suggerirci certi atteggiamenti dello yoga o alcune statuine di Budda. Al contrario, come vedremo in seguito, la pace di cui parliamo è l'indispensabile corollario dell'amore, di una vera apertura alle sofferenze del prossimo e di un'autentica compassione. Poichè solo questa pace del cuore ci libera da noi stessi, aumenta la nostra sensibilità verso l'altro e ci rende disponibili al prossimo. [...] L'acquisizione e il mantenimeno della pace interiore, impossibili senza la preghiera, dovrebbero essere considerati una priorità, soprattutto per chi ha la pretesa di voler fare del bene al prossimo. In caso contrario, spesso comunicheremo a chi è nella difficoltà solo le nostre inquietudini. E' necessario soffermarci su un'altra verità, non meno importante: la vita cristiana è una lotta, una guerra senza tregua. [...] Ogni cristiano deve essere ben convinto che la sua vita spirituale non può in alcun caso ridursi a uno scorrere tranquillo di giorni senza storia, ma deve essere il luogo di una lotta costante (contro il male, le tentazioni, lo scoraggiamento), a volte dolorosa, che terminerà solo alla morte. Questa inevitabile lotta è da interpretare come una realtà estremamente positiva. Poichè "non c'è pace senza guerra" (Santa Caterina da Siena), senza lotta non c'è vittoria. Proprio questo conflitto è il luogo della nostra purificazione e della nostra crescita spirituale, in tal modo impariamo a conoscere noi stessi nella nostra debolezza e Dio nella sua infinita misericordia. E', in definitiva, il modo scelto da Dio per la nostra trasfigurazione e la nostra glorificazione. Ma la lotta spirituale del cristiano, pur essendo talvolta dura, non è mai la guerra disperata di chi si batte in solitudine, alla cieca, senza nessuna certezza circa l'esito dello scontro. E' la lotta di chi combatte con l'assoluta certezza che la vittoria è già assicurata, perchè il Signore è risorto:"Non piangere più; ecco, ha vinto il Leone della tribù di Giuda" (Ap 5,1). Così, non combattiamo da soli con le nostre forze, ma con il Signore che ci dice:"Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9) e la nostra arma principale non è la naturale fermezza del carattere o l'abilità umana, ma la fede, questa totale adesione a Cristo che ci permette, anche nei momenti peggiori, di abbandonarci con fiducia cieca a colui che non ci abbandonerà. "Tutto posso  in colui che mi dà la forza" (Fil 4,13). Ed ancora:"Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?" (Sal 27). Il cristiano  dunque lotta con energia, chiamato com'è a resistere "fino al sangue nella lotta contro il peccato" (Eb 12,4). Lo fa però con cuore tranquillo e la sua lotta è tanto più efficace quanto più il suo cuore dimora nella pace. Perchè è proprio questa pace interiore che gli permette di lottare non con le proprie forze - che verrebbero meno -, ma con quelle di Dio."
Tratto dal libro "La pace del cuore" di Jacques Philippe

mercoledì 18 gennaio 2012

La Pace del Cuore - 2

Continuiamo da dove abbiamo lasciato...


" Per comprendere quanto sia fondamentale, per lo sviluppo della vita cristiana, sforzarsi di acquisire e conservare la pace del cuore, la prima cosa di cui dobbiamo essere ben convinti è che tutto il bene che possiamo fare viene da Dio e da Lui solo. "Senza di me non potete fare nulla", ha detto Gesù (Gv 15,5). Non ha detto : "Non potete fare grandi cose", ma "Non potete fare nulla". E' per noi essenziale essere persuasi di questa verità. [...] Come lasciare agire in noi Gesù? Come permettere alla grazia di Dio di operare liberamente nella nostra vita? Non dobbiamo dunque tanto imporci di fare determinate cose secondo i nostri progetti e le nostre capacità, bensì dobbiamo cercare di scoprire quali siano le disposizioni della nostra anima che permettono a Dio di agire in noi. Solo in questo modo potremo portare un frutto duraturo, un frutto che rimanga (Gv 15,16). [...] Per permettere alla grazia di Dio di agire e produrre in noi - con la nostra cooperazione - tutte queste "opere buone che il Signore ha predisposto perchè noi le praticassimo" (Ef 2,10), è estremamente importante che ci sforziamo di acquisire e conservare la pace interiore, la pace del cuore. [...] Il nostro Dio è il Dio della pace. Non parla e non opera che nella pace, non nel turbamento e nell'agitazione. [...] Spesso ci agitiamo, ci inquietiamo nel tentativo di voler risolvere tutto da soli, mentre sarebbe molto più efficace restare calmi, sotto lo sguardo di Dio, lasciandolo agire ed operare in noi con la sua saggezza e la sua potenza, infinitamente superiori alle nostre. "Poichè così dice il Signore Dio, il Santo d'Israele: Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell'abbandono confidente sta la vostra forza. Ma voi non avete voluto" (Is 30,15). Il nostro non essere, ben inteso, un invito alla pigrizia ed all'inerzia; ma un'esortazione a non agire mossi da uno spirito d'inquietudine e di fretta eccessiva, bensì sotto l'impulso mite e pacifico dello Spirito di Dio.

Tratto dal libro "La pace del cuore" di Jacques Philippe 

La Pace del Cuore

Cominciamo quindi a riempire la sezione relativa alla "Spiritualità" e lo facciamo partendo da un libro scritto da Jacques Philippe, un religioso, teologo e scrittore francese. Ebbene stiamo parlando di un libro di appena 78 pagine dal costo anche molto esiguo (Edizioni Dehoniane Bologna, euro 6,90) ma che per contenuto supera i più grandi tomi della letteratura filosofica e psicologica di tutti i secoli. Vorrei riportarvi, in questo primo articolo, alcuni passaggi tratti dalla "presentazione" del libro:
"La nostra è un'epoca di inquietudine e questa attitudine interiore, che permea la vita quotidiana dei nostri contemporanei, si manifesta altrettanto spesso nella sfera della vita cristiana e spirituale. La nostra ricerca di Dio, della santità e del servizio al prossimo, è anch'essa spesso agitata, ansiosa, non fiduciosa e tranquilla, come dovrebbe essere, se assumessimo l'atteggiamento dei piccoli di cui ci parla il Vangelo. Quindi è estremamente importante capire che il cammino verso Dio e verso la perfezione diviene di gran lunga più efficace, breve e agevole quando l'uomo riesce a conservare in tutte le circostanze la pace profonda del cuore."
Tratto dal libro "La pace del cuore" di Jacques Philippe